Mercato agroalimentare svizzero
Smontiamo i pregiudizi:
Nella percezione collettiva la Svizzera è una specie di cassaforte blindata: questa immagine porta a due pregiudizi di fondo diffusi tra le aziende esportatrici italiane specie del comparto agroalimentare spesso fuorvianti e alla base di fondamentali errori strategici.
Tabella dei Contenuti
Pregiudizio negativo: dogana barriera insormontabile
“La Svizzera ha una dogana”: questa frase rischia per molte piccole imprese italiane di essere una pietra tombale su ogni iniziativa di internazionalizzazione sul mercato svizzero. Percepita come una barriera amministrativa complessa e insormontabile la severa dogana svizzera induce spesso le nostre imprese ormai abituatesi a muoversi liberamente all’interno del libero mercato comune europeo, ad orientarsi verso altri mercati vicini.
È vero la Svizzera pone dei limiti, sia di carattere quantitativo che tariffario, specie all’ingresso dei prodotti agroalimentari, inoltre prescrive che molti prodotti debbano essere importati solo da chi è in possesso del PGI (Permesso generale d’importazione); non ha senso quindi cercare di promuovere il prodotto al ristoratore, al dettagliante o al privato a meno che non lo si faccia in partnership con un importatore locale e cioè con chi effettivamente è autorizzato ad importare e distribuire il prodotto sul mercato.
A fronte di questa oggettiva limitazione però i numeri sono confortanti: se la dogana rappresentasse veramente questo ostacolo insormontabile non si spiegherebbe come mai la piccola Svizzera che ha una popolazione inferiore a quella della sola Lombardia sia il quinto mercato di destinazione al Mondo delle nostre esportazioni agroalimentari. La spiegazione sta nella strategia di approccio al mercato: la Svizzera non tollera improvvisazioni (questa sì è una reale limitazione). Se si vuole aggredire il mercato con qualche speranza occorre un piano a medio termine (6-12 mesi) che preveda un’analisi della domanda e delle preferenze dei consumatori, l’individuazione di importatori affidabili ed autorizzati e il reclutamento di spedizionieri abituati a trattare con i doganieri di Chiasso.
Troppe variabili direte voi? Non è così, la Camera di Commercio Italiana per la Svizzera rappresenta un crocevia unico di informazioni e assistenza su questi tre fronti.
Pregiudizio positivo: gli svizzeri sono ricchi e comprano a qualsiasi prezzo
Pensare che la Svizzera sia una vacca da mungere “tanto sono ricchi” è uno degli errori più comuni cui assistiamo specie nel rapporto con le aziende meno abituate ad avere a che fare con la Confederazione.
È vero una passeggiata tra gli scaffali dei supermercati di Zurigo e Ginevra può indurre a pensare che i consumatori svizzeri e di conseguenza anche gli importatori siano disponibili a pagare qualsiasi prezzo per le nostre eccellenze agroalimentari.
Questo ragionamento semplicistico però non tiene conto di quello che chiameremo “il cuneo commerciale” e cioè quel margine di costo che separa il prezzo franco fabbrica e il prezzo al consumo quando il prodotto raggiunge lo scaffale del dettaglio elvetico.
Il cuneo si compone grosso modo dei costi di trasporto, sdoganamento (servizio logistico e tariffe), spese di marketing dell’importatore, margine dell’importatore e margine del dettagliante.
L’alto prezzo che si trova sullo scaffale, che certamente il consumatore medio svizzero si può permettere grazie agli alti salari pagati nel Paese, va però a remunerare principalmente i lavoro degli intermediari per lo più svizzeri (spedizioniere, importatore e dettagliante) e non tanto il produttore italiano sul quale, proprio per ottenere da ogni importazione il massimo del margine, l’importatore cercherà di esercitare una pressione al ribasso sul prezzo esattamente come avviene su altri mercati.
È bene prepararsi quindi ad una trattativa dura e trasparente. Evitare soprattutto atteggiamenti “pirateschi” come la pessima idea di prevedere un listino prezzi ad hoc per il mercato svizzero: niente genera più sfiducia e cattiva reputazione.
Lascia un commento